La seta arriva a Como

La seta arriva a Como

In Europa, il baco da seta era noto da secoli e molto apprezzato, grazie agli scambi commerciali che legavano fra loro cinesi, persiani, greci e romani. Plinio il Giovane nel I secolo d.C. parla dei Seri, popolo famoso per produrre una fibra vegetale da cui, tessendola, si producono le leggere e trasparenti vesti delle matrone.

Si capisce da queste parole che i romani non avevano ben chiaro cosa fosse davvero la seta, che è un prodotto animale, anche se l’albero del gelso ha una fondamentale importanza nella sua produzione. Ma anche con le idee confuse la sapevano apprezzare. L’imperatore Giustiniano nel VI secolo mandò in Cina alcuni monaci col compito di portare in Europa la materia prima, e non è chiaro se sia storia o leggenda quella del monaco che nasconde le uova dei bachi dentro il suo bastone da viaggio fatto di bambù, quindi cavo all’interno, per aggirare il divieto di esportare il segreto della seta fuori dalla Cina. In Italia, comunque, risulta che per lungo tempo si sia lavorata materia prima importata mentre l’intero ciclo produttivo, dalla coltura dei gelsi alla tessitura, è documentato a partire dall’XI secolo. S’iniziò al sud per risalire lentamente la penisola: nel XII secolo Lucca, Pisa e Firenze producevano ottima seta e nel XV secolo Filippo Maria Visconti cercò di portare a Milano i migliori tessitori toscani, che rischiavano la morte mediante “appiccagione per un piede” se avessero abbandonato la Toscana; ciononostante un tal Pietro da Bartolo di Firenze se ne andò a Milano e vi introdusse l’arte di fabbricare la seta, che venne appresa rapidamente e con eccellenti risultati dai tessitori milanesi.

Fu necessario sviluppare la coltivazione del gelso e l’etimologia popolare afferma che il duca Ludovico Sforza fosse detto il Moro non per la sua carnagione scura ma per l’essere stato il principale artefice della diffusione del gelso, che scientificamente si chiama Morus alba e nei dialetti lombardi è morón. Nel Seicento Bologna fa funziona e per prima un filatoio idraulico e Genova produce magnifici velluti e damaschi celebri in tutta Europa.

Nella regione intorno al lago di Como già da tempo si lavorava la lana; la lunga storia d’amore fra Como e la seta iniziò nel XVI secolo e la tradizione vuole che abbia avuto due iniziatori: Pietro Boldoni da Bellano che impiantò un filatoio a Como nel 1510 e Pagano Merino, che mise su un’impresa per la produzione di drappi in seta, per la quale ebbe dalla città un premio di 400 lire. Fu però solo nel XVIII secolo che alcuni imprenditori diedero il via alla produzione industriale della seta nel Comasco, che si sviluppò enormemente nel secolo successivo: nel 1840 il 93% della superficie asciutta coltivata nella Brianza comasca era coperta di gelsi e le strutture tessili industriali, filande, filatoi e tessiture, nascevano ovunque ci fossero gelsi per nutrire i bachi e acqua per fornire energia alle macchine. Che, come dicono i comaschi, sono due delle tre cose necessarie per produrre la seta; la terza è lo spirito imprenditoriale, del quale Como e la sua terra pure abbondavano.

Nascono le industrie e nascono le classi sociali necessarie a farle funzionare, ovvero gli imprenditori e gli operai, che generalmente erano donne e bambini. Le varie fasi della produzione erano separate concettualmente e fisicamente: l’allevamento dei bachi era svolto per lo più a livello familiare, e la covatura delle uova e l’alimentazione dei bachi avveniva in casa degli allevatori, che spesso non ritenevano opportuno costruire locali appositi per un’attività che durava solo un paio di mesi in primavera. Succedeva pertanto, secondo quanto narrano alcuni viaggiatori forestieri, che in quei periodi le case degli allevatori (che per lo più appartengono alla classe contadina, quindi abitano in case modeste) fossero piene di foglie di gelso e di bachi fin sui tavoli e sulle panche e intorno ai letti e tutta la famiglia fosse impegnata nell’incessante attività di nutrimento dei bruchi. Le fasi successive, la lavorazione e la filatura della seta erano svolte in grandi opifici perchè i bozzoli possono essere conservati a lungo e lavorati “in grosso”.

Fra fine ‘800 e inizio ‘900 si affermarono i telai meccanici e ciò ampliò grandemente la produzione e la diffusione sul mercato: nel 1904 i telai comaschi erano quasi 8000 e rappresentavano l’82% dei telai nazionali. Il XX secolo, però, porta nello spazio di diversi decenni alla decadenza della produzione serica comasca: intorno agli anni Cinquanta si abbandona la gelsicoltura e l’allevamento dei bachi, mentre la produzione della seta “torna alle origini” in quanto si rafforza la concorrenza dei paesi dell’Estremo Oriente, Cina, Giappone, Corea e altri: la fine del XX secolo vede l’industria serica comasca specializzarsi nella finitura del prodotto che arriva grezzo dall’Asia: è la stampa artistica e creativa il fiore all’occhiello della seteria comasca d’oggi, che si è evoluta dalle antiche e affascinanti planches di legno incise a mano alla fotoincisione meccanica alle più moderne elaborazioni computerizzate. E alla produzione di tessuti in seta di alta qualità si affiancano la ricerca tessile e scientifica insieme all’Università e le attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico e culturale dell’attività serica comasca, soprattutto grazie all’opera di due magnifici musei: il Museo didattico della Seta di Como e il Museo Studio del Tessuto della Fondazione Antonio Ratti.

Il personale di entrambi i musei è gentilissimo, disponibilissimo e prodigo di informazioni per il visitatore profano di seta e di bachi, però anche chi non intende varcare le soglie dei due templi del sapere serico può desiderare di conoscere i diversi e mirabili processi che partendo dalla voracità di un bruco di monotoni gusti culinari portano al tessuto più nobile e ricercato in tutta la storia dell’umanità.

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1 commento finora

Guidando a Como Scritto il20:29 - 21 Aprile 2022

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