Così a Reggio Emilia il welfare culturale è diventato un brand

Così a Reggio Emilia il welfare culturale è diventato un brand

Estetica e inclusione. A Reggio Emilia la bellezza sta veramente cambiando il modo in cui si pensano i servizi per le persone con fragilità, con un effetto contaminazione che ha coinvolto l’intera città. La storia di Diritto alla bellezza, progetto di welfare culturale nato dall’esperienza e dal coraggio di Annalisa Rabitti, mamma di un ragazzo con disabilità e assessora a Cultura, Marketing territoriale e Pari opportunità del comune emiliano

Ripensare i servizi per le persone con disabilità rendendo risorsa la differenza, pronti per la comunità, tutta la comunità, e belli. Basta grigiore o pareti scrostate e ambienti non accoglienti, basta declinare la fragilità con la tristezza. E basta servizi calati dall’alto, tutti uguali, senz’anima, certamente efficienti, ma disallineati ai reali bisogni e ai desideri delle persone e delle famiglie. Co-progettare, ma prima di tutto, essere protagonisti: questa la direzione. Il progetto Reggio Emilia città senza barriere e di Diritto alla bellezza, l’iniziativa di welfare culturale che ne è la naturale prosecuzione, nasce dalla storia di Annalisa Rabitti, assessora a Cultura, Marketing territoriale e Pari opportunità, con deleghe a Cultura, Marketing territoriale e Turismo, Pari opportunità e Città senza barriere, e mamma di un ragazzo con disabilità, che ha deciso di impegnarsi in politica perché la sua esperienza personale potesse diventare «esperienza collettiva», racconta, «e provare a difendere i sogni degli altri». Gli altri sono le persone con fragilità, il sogno è quello di una comunità in cui tutti avessero pari cittadinanza e pari accesso alla bellezza: in una città in cui i servizi c’erano e funzionavano. Ma avevano bisogno di una spinta innovativa.

Troppa distanza

«In quanto mamma di una persona con disabilità avevo un’esperienza molto forte e reale di vita vissuta. Mi sono sempre sentita una sorta di “esperta per esperienza”. Mi sarebbe piaciuto che la mia esperienza e le istituzioni potessero dialogare nel costruire una nuova prospettiva di risposta ai bisogni». Il punto di partenza era questo: Annalisa sentiva «una grande distanza tra i servizi per le persone con disabilità, seppure presenti in una città dove il welfare è sempre stato presente ed efficiente, e le reali necessità, le parole, il modo, l’approccio e i bisogni che avevano le nuove famiglie di ragazzi con disabilità». Avvertiva inoltre l’esigenza che le stesse famiglie dovessero «imparare a essere parte della co-progettazione, essere responsabilizzate sulle reali possibilità e non solo avanzare richieste» e che «le istituzioni avessero bisogno in un certo senso di una scossa di rinnovamento».

Servizi per bisogni reali

l contesto è quello di una città in cui i servizi c’erano e ci sono, ma in un certo senso proponevano «soluzioni standardizzate». Il fatto è che, sottolinea Annalisa, le disabilità sono «molteplici, legate a tante persone diverse, con esigenze altrettanto diverse». Non solo. Un altro dei punti della riflessione alla base del progetto di Annalisa Rabitti è che nel caso delle persone con disabilità «c’è sempre qualcuno che decide e che interpreta i loro bisogni. Tutti sanno cos’è il bene e il giusto, a scapito della capacità di autodeterminarsi». Da mamma, aggiunge, «dall’esperienza con mio figlio, ho capito quanto fosse lacerante non avere una voce. Le persone fragili sussurrano in un mondo che grida».

Dall’accessibilità ai sogni

Il progetto Reggio Emilia città senza barriere è nato così, mettendo a fuoco «quattro macro argomenti che le persone intorno a me e le famiglie che conoscevo sentivano come prioritari: la parte della città intesa come luogo fisico (l’accessibilità in Italia non è esattamente una delle priorità nel modo di costruire), quella legata alla sanità e ai servizi socio sanitari (con i quali molte persone con disabilità hanno un rapporto diretto e quotidiano), la cultura, lo sport e il tempo libero. La quarta è «il progetto di vita, quella parte che a volte resta sullo sfondo. Dovevamo occuparci dell’anima, dei sogni, di quelle cose immateriali che tengono in piedi l’essere umano: queste dovevano essere al centro anche della vita delle persone con disabilità».

I tavoli di lavoro e la costruzione di un sentire diverso e comune

Reggio Emilia città senza barriere è soprattutto ascolto. Da subito. «Dopo aver individuato le quattro macro aree sono partiti nove tavoli di lavoro per un totale di 76 incontri in un anno», a cui hanno partecipato «le istituzioni che in qualche modo si occupavano di disabilità, ma anche quelle che non lo facevano». Un esempio? «Ricordo ancora il primo tavolo per la mobilità: le esigenze dell’azienda trasporti e quelle delle persone con disabilità delle famiglie erano su due pianeti completamente distanti». A fare da ponte, proprio l’assessora. «Ero mamma e quindi riuscivo ad ascoltare le famiglie, ma ero anche l’istituzione e potevo fungere da arbitro. Sapevo che non bastava la rabbia e lo sdegno, ma occorreva capire, organizzare, conquistare spazi e costruire una nuova forma di città, con un sentire comune, che ancora non c’era».

Il bagno inclusivo e i “progetti sognanti”

Da questo incontro – scontro «nascono decine di progetti. Uno di questi ha riguardato la costruzione di un bagno totalmente inclusivo». Costato un anno e mezzo di lavoro «ha un lettino per il cambio dei pannolini: siamo l’unica città che ha un bagno pubblico con il letto per il cambio degli adulti». Altri erano «progetti sognanti», frutto di una riflessione appunto sul diritto alla bellezza. La premessa? «Quando penso alla bellezza non posso fare a meno che pensarla come profondità, rispetto, come senso. È molto difficile parlare di fragilità in termini di bellezza: si viene spesso accusati di superficialità, come se fosse qualcosa di inutile. In realtà credo che la fragilità non meriti di essere anche brutta. Se così fosse la staremmo ulteriormente umiliando e marginalizzando». In una città dove, ripetiamo, i servizi c’erano e ci sono era successa una cosa strana: «i luoghi che hanno accolto i servizi per la fragilità è come se avessero tenuto la bellezza fuori dalla porta».

Bellezza e accessibilità. I bagni pubblici sono stati «risistemati in un’ottica di bellezza» e «accessibilità. Fare le cose con un occhio all’estetica è una forma di rispetto e di attenzione per tutti. Questi bagni, ora completamente accessibili, sono più belli e accoglienti per tutti, per ogni tipologia di utente, dalle famiglie con bambini e bambine, alle persone con disabilità, agli anziani». Il criterio che ha guidato l’intervento di riqualificazione degli spazi esistenti è stato il loro miglioramento in termini di inclusività: i nuovi servizi igienici, completamente gender-free, sono infatti stati resi più accoglienti e accessibili a tutte e tutti».

Tutte le fragilità. Nel progettare i bagni, spiega sempre Rabitti, non si è tenuto conto solo delle persone con disabilità motoria «ma si è preso in considerazione il termine nella sua piena accezione di significato, che significa occuparsi delle molteplici condizioni di fragilità di ogni persona. Sono stati inoltre installati diversi ausili per rispondere alle esigenze di tutte le persone che utilizzeranno i servizi, in particolare: un fasciatoio, un lettino motorizzato per il cambio di persone adulte con grave disabilità e servizi igienici a misura di bambino e bambina».

La bellezza è speranza

La direzione e l’urgenza era dunque «riportare la bellezza nella vita delle persone fragili, come strumento di innovazione. Perché la bellezza è un valore, accoglie, ascolta, crea appartenenza, toglie la paura e nutre l’anima. Uno spazio pubblico pieno di bellezza ti fa sentire a casa. Se un centro diurno, un carcere o un luogo dove si fa fisioterapia è anche brutto, noi non stiamo dando la speranza di “farcela”».

Dai tavoli di lavoro al manifesto. Nel 2018, 750 persone si sono riunite in un capannone e dalla mattina alla sera hanno ripensato la città. «Noi abbiamo solo portato una bozza che poi è stata parzialmente stravolta». Così è nato il manifesto del Diritto alla bellezza.

La cena al fresco e gli spazi del carcere

Questo movimento di idee e di persone ha prodotto idee, che si sono trasformate in progetti concreti. Uno di questi ha riguardato l’istituto penitenziario di Reggio Emilia. «Conoscevo il reparto per persone con disabilità mentale e ne ero rimasta molto toccata. Due aspetti mi avevano colpita: la cucina (che ho trovato in condizioni terribili) e il reparto per i colloqui». Pensate, è l’invito di Rabitti, «ai bambini che vanno a trovare il papà in carcere» e si trovano anche ad incontrarlo in un luogo «triste, grigio, brutto».

Per cercare di dare una direzione diversa a questo stato di cose (e trovare 70 mila euro per rifare la cucina), Rabitti ha chiamato a raccolta le forze della città (aziende e cittadini) e ha organizzato un evento, “La cena al fresco”. Tra i protagonisti dell’iniziativa, lo chef stellato Luca Marchini ha cucinato e lo ha fatto insieme ai detenuti nella cucina nuova, per tutti i 420 carcerati dell’istituto e per i 220 cittadini invitati ad entrare («per partecipare hanno speso 300 euro ognuno»). Il ricavato? Ha contribuito ai costi di ristrutturazione della cucina e al recupero dell’area accoglienza bimbi. Si diceva le aziende? «All’iniziativa hanno partecipato diverse imprese: alcune hanno offerto dei pezzi della cucina, altre le ceramiche, mentre l’ordine degli architetti ci ha supportato nel progetto. Ora quella cucina è un’altra cosa, è bellissima per lavorarci e mangiare».

La stanza dei bambini. Nei mesi successivi, dopo la cucina, Diritto alla bellezza ha ridato luce anche alla stanza dei bambini del penitenziario. «Oggi è un luogo meraviglioso dove i piccoli possono stare con il papà, in una stanza piena di colori, giochi e libri da leggere. È uno spazio in cui il bambino è essere felice di andare».

La palestra che non “sa” di fisioterapia

Dalla rigenerazione degli spazi del carcere ai bagni pubblici, fino alla palestra. L’azione di Diritto alla bellezza ha ribaltato la stessa idea di uno spazio dove si fa normalmente fisioterapia. Si chiama Ability gym. «È un luogo che richiama i consueti spazi per il fitness. Ma con attrezzature adatte».

Per tutti

L’idea è questa. «Smettere di parlare di disabilità e progettare con un’idea di bellezza che riguarda tutta la città». E le soluzioni architettoniche? Quelle strettamente dedicate? «Le abbiamo rese invisibili. Un esempio? I percorsi tattili a terra per i ciechi non devono per forza essere visibili e brutti. Noi lavoriamo sull’accessibilità di tutte le piazze, ma tutte in chiave inclusiva, al punto che pochi se ne accorgono». In molte nuove piazze e strade i percorsi tattili tradizionali sono stati sostituiti con un progetto sperimentale, segnando a terra con delle barrette di ferro «con la consulenza dell’Unione Italiana Ciechi e del Criba».

Curiosa meravigliosa

Diritto alla bellezza ha portato anche a immaginare in città anche un’opera d’arte che accoglie l’ingresso per persone con disabilità all’esterno dei Musei Civici di Reggio Emilia. Un mosaico monumentale, alto 16 metri, che raffigura un grande pavone composto da 12 mila fotografie scattate durante le misure restrittive per Covid-19. Si chiama Curiosa meravigliosa e lo ha realizzato il fotografo e saggista Joan Fontcuberta, che ha messo la firma su un’opera partecipata, realizzata grazie all’elaborazione digitale di migliaia di immagini inviate da cittadini e cittadine sui temi della curiosità e della meraviglia alle quali si aggiungono le fotografie di oggetti delle collezioni dei musei. L’obiettivo? Dare bellezza ad un accesso di servizio, concretizzando la volontà di far dialogare arte e luoghi per e con le persone. «Oggi l’ingresso per disabili, ma anche per le persone anziane e per i passeggini, è forse più interessante dell’ingresso principale».

Le farmacie comunali

A Reggio Emilia le farmacie sono prevalentemente pubbliche. Le Farmacie Comunali Riunite, questo il loro nome, sono una azienda speciale del comune. Nella loro organizzazione c’è una sezione che si occupa di progettazione sociale da 25 anni e con gli utili derivanti alle farmacie pubbliche si organizzano ed attuano servizi sociali. Non è un caso che le farmacie siano state parte attiva del progetto Reggio Emilia città senza barriere prima e poi di Diritto alla bellezza. «All’inizio con una parte di risorse molto piccole abbiamo avviato una sperimentazione coraggiosa, che poi è arrivata pian piano a contaminare il sistema», spiega Rabitti.

Leggere il territorio. Occuparsi di welfare culturale cittadino, precisa Leonardo Morsiani, responsabile area servizi alla persona azienda speciale Farmacie Comunali Riunite, «vuol dire vuol dire lavorare con l’amministrazione comunale e contribuire a programmare le necessità e le esigenze» in questo ambito. «Vuol dire fare una lettura del territorio, dei bisogni e delle risorse disponibili», aggiunge, «co-progettare interventi con il Terzo settore» nell’ambito dei servizi per gli anziani, per la disabilità, i minorenni e le famiglie».

Provocazione alla trasformazione. Per Morsiani il progetto Diritto alla bellezza nasce come «provocazione alla trasformazione e dalla riflessione che nel costruire la piena cittadinanza di ogni persona (non parlo della piena inclusione, perché già parlare di inclusione delle persone fragili vuol dire costruire una una differenziazione) il diritto alla bellezza è uno degli elementi favorenti». La ragione? «Il contatto con la bellezza nelle sue diverse forme è un elemento di miglioramento del sé, di benessere e di salute». Ma anche di «emancipazione, di crescita e di superamento degli elementi di fragilità».

L’arte mi appartiene. Di Diritto alla bellezza, Morsiani cita il progetto di formazione che Farmacie Comunali Riunite ha organizzato in collaborazione con la fondazione palazzo Magnani, che si occupa di arte. «Abbiamo messo a punto L’arte mi appartiene, un metodo di formazione e di accompagnamento degli operatori sociali alle mostre e agli eventi culturali». Una cassetta degli attrezzi di buone pratiche «in cui l’arte si propone come strumento di lavoro socio educativo e le mostre sono un’opportunità per il territorio anche per le persone fragili»

La formazione e l’importanza di “cambiare gli occhi”

In un quadro di coesione sociale, spiega Annalisa Rabitti, in cui l’incontro aiuta sia la persona in una condizione di fragilità che l’operatore e in cui «la politica della cultura è chiamata a occuparsi delle tematiche di genere, lgbt e delle persone con fragilità», la formazione dei tecnici, come anche degli architetti, assume un ruolo determinante. La direzione è quella segnata dal Diritto alla bellezza, «dalla cultura dell’accessibilità universale e dal design for all». Dal pensare cioè che bisogna cambiare punto di osservazione e «cambiare gli occhi» quando si progetta. «Progettare per tutti vuole dire semplicemente progettare meglio».

Da Vita del 5 febbraio 2024 di Alessio Nisi

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