Breve storia del fascismo in Italia: prima parte

Breve storia del fascismo in Italia: prima parte

Incuriosire.it intende ripercorrere le cause e le tappe che hanno portato il fascismo in Italia; perchè per comprendere il presente occorre conoscere la storia del nostro recente passato.

Dopo la prima Guerra mondiale si verifica una crisi sociale per le privazioni dovute alla Guerra.

La pace aveva fatto credere che le condizioni successive alla Guerra sarebbero migliorate: I socialisti pensavano che sarebbe stata possibile una rivoluzione, sull’esempio di quella russa, i nazionalisti e gli ex-interventisti speravano in compensi territoriali e a idee di grande potenza. Lo sviluppo di partiti di massa come quello socialista e quello cattolico, mettono alla frusta il sistema politico liberale che non era pronto a un passaggio verso un regime democratico di massa.

Su queste ambizioni frustrate si inserisce il movimento fascista di Mussolini, antisocialista e pesantemente antidemocratico. Nel periodo della recessione economica degli anni 1921-22 si rafforzò godendo degli appoggi economici degli imprenditori e degli agrari padani che lo vedevano come argine al movimento socialista. Lo stato liberale sottovalutò il pericolo fascista che nel 1922 organizzò una “marcia su Roma” che spinse il re ad affidare il governo a Mussolini.

La conferenza di pace che si tenne a Parigi dopo la prima guerra mondiale vedeva l’Italia reclamare non solo la frontiera del Brennero, la linea delle Alpi Giulie, Istria e Dalmazia centrale come stabilito in precedenza nel Patto di Londra ma anche l’intera Dalmazia e l’Albania in modo da controllare l’intero Adriatico e ponendo le basi per una espansione verso i Balcani. Oltre a questo la delegazione italiana con Orlando e Sonnino chiedeva la annessione di Fiume. Il presidente americano Wilson però denunciò queste ulteriori rivendicazioni come espansionistiche e imperialistiche, sconfessando sostanzialmente la delegazione italiana. Gli italiani abbandonarono le trattative e così D’Annunzio poté inventare il mito della “vittoria mutilata” intendendo la vittoria italiana come inutile. Un concetto questo che aggiunse forti elementi di tensione nell’Italia del dopoguerra. In realtà i trattati di pace avevano garantito il pieno raggiungimento degli scopi di guerra italiani, lasciando insoluto solo il problema di Fiume occupato dagli Italiani nel 1918.

Gli anni tra il 1919 e il 1920 il cosiddetto Biennio rosso, caratterizzato da lotte sociali e scioperi che portarono a miglioramenti nelle condizioni di vita di operai e contadini, grazie all’opera di sindacati socialisti (CGdL), cattolici (CIL) e anarco-socialisti (USI). Alcuni scioperi oltre ad avere rivendicazioni economiche ebbero anche rivendicazioni politiche, in particolare quelli del luglio 1919 per protestare contro l’intervento militare alleato nella Russia sovietica che allarmò l’opinione pubblica italiana vedendolo come prodromico alla realizzazione della Rivoluzione in Italia.

Il fermento si allargò anche alle campagne: i braccianti ottennero la riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore, i mezzadri dell’Italia centrale dovettero concedere una maggiore parte del raccolto ai contadini e nel mezzogiorno i contadini occuparono le terre dei latifondi incolti e abbandonati. In questo caso i prefetti vennero autorizzati ad assegnare per 4 anni le terre incolte, ma il provvedimento restò sostanzialmente inattuato.

Anche nelle fabbriche del nord ci furono agitazioni: nel 1920 venne occupata la Fiat a Torino per ottenere miglioramenti nell’orario di lavoro.

Lo scontro fu duro perché gli industriali volevano limitare i poteri delle commissioni interne e soffocare l’esperienza dei consigli di fabbrica che intendevano controllare l’organizzazione della attività produttiva. Questi organismi erano di orientamento socialista e si rifacevano alle posizioni di Gramsci espresse sulla rivista Ordine Nuovo. Lo scontro durò un mese dalla fine di marzo alla fine di aprile 1920 e si concluse con uno sciopero generale che sostanzialmente fallì perché i sindacati non appoggiarono il movimento ritenendo troppo politiche le rivendicazioni.

La sconfitta degli operai spinse gli industriali a respingere le rivendicazioni salariali. Allora il sindacato adottò come lotta lo strumento dell’ostruzionismo applicando alla lettera le normative vigenti, bloccando la produzione specie alla Alfa Romeo.  Gli industriali risposero con la serrata e la Fiom rispose con l’occupazione delle fabbriche prima a Milano e poi in tutta Italia dopo la proclamazione della serrata generale da parte degli industriali. Mezzo milione di lavoratori occupò le fabbriche in Italia che tentarono una gestione autonoma degli stabilimenti. Il presidente del consiglio Giolitti aspetto che il movimento si esaurisse da sé, essendo privo di uno reale sbocco rivoluzionario, arrivando poi a un concordato il 19 settembre che assegnava miglioramenti salariali ma nessuna possibilità di gestione degli stabilimenti da parte degli operai. Tutto questo provocò la “grande paura” nella borghesia italiana e nei gruppi moderati e conservatori circa la possibilità di una rivoluzione di tipo sovietico in Italia.

Fonte: Carlo Capra – Franco Della Peruta – Giorgio Chittolini “Corso di storia” Ed. Le Monnier

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