Un progetto ardito, ambizioso e innovativo quello che è stato realizzato nella Basilica di Santa Maria di Campagna in Piacenza.
Eretta su iniziativa di un gruppo di cittadini che si costituì in fabbriceria, nei primi anni del sedicesimo secolo (1522- 1528), la chiesa sorge sull’area occupata in precedenza da un altro edificio sacro (il santuario di Santa Maria di Campagnola), dove si venerava un’ immagine lignea della Madonna con il Bambino che risaliva al XIV secolo; qui, secondo la tradizione, il Pontefice Urbano II nel 1095 avrebbe annunciato l ‘intenzione di bandire la prima Crociata in Terra Santa.
Progettista e direttore dei lavori fu l’architetto piacentino Alessio Tramello. La chiesa è a pianta centrale, si distingue per l’armonia della disposizione degli spazi e dei volumi organizzati in modo essenziale ed equilibrato. Eccezionali sono le decorazioni e gli affreschi che ne ricoprono gli interni. Tra gli artisti che vi hanno lavorato con cicli di opere di grande respiro, vi è Antonio Sacchi detto il Pordenone. Suo, sulla parete d’ingresso, è il Sant’Agostino e subito dopo la cappella dei Re Magi interamente affrescata dall’artista come anche la successiva cappella di Santa Caterina. Uscendo dalla cappella nel braccio vicino opere di Camillo Procaccini e Gaspare Traversi. In sagrestia tele di Gaspare Landi e di Giulio Campi; la cappella di Sant’Antonio presenta opere di Pietro Antonio Avanzini, Camillo Procaccini e dei fratelli Galli Bibiena; nel braccio destro della croce hanno lavorato il Guercino, Alessandro Tiarini, Ignazio Stern e Daniele Crespi. Su tutto domina il poderoso complesso della cupola che si erge nel mezzo della croce greca: nella lanterna è raffigurato l’Eterno Padre sostenuto da una gloria di angeli da cui discendono personaggi e storie della cristianità; gli affreschi sono opera del Pordenone e del Sojaro. Tra le sculture presenti si segnalano quelle di Francesco Mochi, Jan Geernaert e Giulio Mazzoni.
La cupola
Un capolavoro artistico del ‘500 e della strumentazione tecnologica moderna. A Santa Maria di Campagna le due realtà convivono, interagiscono e si arricchiscono a vicenda. Il capolavoro artistico del ‘500, situato nella cupola maggiore, viene così avvicinato ai nostri sguardi grazie a foto ad alta definizione, visibili in uno schermo all’ingresso della suddetta chiesa. Le foto, a loro volta, appaiono meravigliose e luminose grazie all’alta qualità e alla ricca e splendida gamma cromatica utilizzata dal Pordenone e in seguito dal Sojaro. Lo spettatore si stupisce così due volte: alzando lo sguardo verso gli affreschi, che per secoli altri fedeli o visitatori hanno ammirato, e allo stesso tempo, toccando lo schermo, approfittando così di uno dei vantaggi dell’uomo contemporaneo, ovvero sfruttare le tecnologie per valorizzare il nostro patrimonio.
È stata tale sinergia a convincermi a prendere parte al presente progetto, che ha dato vita ad uno strumento utile a studiosi, ad appassionati e a curiosi: è diventato così possibile vedere il dettaglio e la pennellata, ammirare le espressioni dei personaggi e capire quali scene e soggetti sono rappresentati. Il mio ruolo è consistito nella redazione della didascalie, utili a fornire informazioni sulle scene raffigurate.
Nello specifico, la cupola di Santa Maria di Campagna, si presenta all’occhio dello spettatore secondo questa sequenza: dalla lanterna discende Dio padre, da cui tutto si dispiega; appena sotto si apre la maestosa cupola, con gli otto spicchi e altrettanti costoloni, popolati di profeti e sibille, putti, personaggi dell’Antico Testamento e simboli vari; immediatamente dopo corre il fregio, dove sono gli eroi e gli dei dell’antichità classica ad essere protagonisti; sui piedritti, risaltano gli apostoli, quasi fossero colonne portanti della struttura; infine, il tamburo illustra con grandi riquadri le scene della vita di Maria. Tutto è connesso, ogni figura è al suo posto con un preciso significato. Stupisce la dovizia dei particolari e la ricchezza della simbologia presenti in tali affreschi, soprattutto se si pensa che da quella posizione non tutto era perfettamente visibile. Nuove ipotesi e identificazioni sono state avanzate, tanto è ancora da approfondire.
Il lavoro di ricerca, infatti, si è basato sull’incrocio di bibliografia precedente, testi religiosi e interpretazioni personali, ma la complessità del programma iconografico dipinto dal Pordenone è tale che questo studio è stato semplicemente l’inizio, solo un modo per mettere ordine a quanto era già stato detto, possiamo dire, e contemporaneamente apportare qualcosa di nuovo. Un’opera d’arte è sempre il frutto di diversi fattori: la committenza, l’artista e il contesto storico. Per capirla, infatti, dobbiamo avere ben chiari questi elementi, farli dialogare. Solo così se ne apprezzano i significati più profondi: un’opera è il risultato del suo tempo, di diverse mentalità, di una determinata educazione, di una sensibilità.
Cliccando sulla seguente immagine potete vedere la realizzazione a 360 gradi delle meravigliosa cupola attraverso la tecnologia della realtà virtuale.
Le informazioni sull’accessibilità della Basilica si trovano a questa pagina a cura dell’Associazione Nazionale Turismo Open.
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