Accessibilità, la progettazione inclusiva richiede una rivoluzione di pensiero

Accessibilità, la progettazione inclusiva richiede una rivoluzione di pensiero

C’è un grande equivoco che, a partire dall’iconografia, accompagna la cultura dell’accessibilità. Quell’omino stilizzato in sedia a rotelle, che tutti sono abituati a vedere sulla porta di un bagno pubblico o disegnato su un parcheggio, restringe il campo dell’immaginario e, in un certo senso, nuoce alla causa. Sì, perché quell’icona universale innesca un pensiero che, al di là delle singole sensibilità, suona più o meno così: non riguarda me, non riguarda i miei cari. E nell’epoca dell’egocrazia questa voce, sottotraccia, ostacola un’evoluzione decisa verso una progettazione inclusiva degli spazi.

Ne è convinto Leris Fantini, professionista incaricato dal Comune di Lucca per affiancare il lavoro sul Pau, il piano dell’accessibilità urbana. “Le città esistono – ha osservato Fantini – perché esistono le persone. Se un corpo urbano non risponde ai bisogni di tutti, tradisce se stesso, la propria ragion d’essere”.

La società sta invecchiando e si stima che tra dieci anni più di un quarto degli italiani avrà superato i 70 anni d’età. La necessità di punti di sosta lungo i percorsi pedonali o di corrimano per facilitare il superamento dei dislivelli accomunerà, a breve, molte più persone di quelle che oggi si riconoscono nell’icona della sedia a rotelle. E poi ci sono – da sempre – le persone cardiopatiche, quelle obese, quelle artrosiche, quelle ipovedenti. Ma anche i bambini piccoli, i genitori con i passeggini e chi, in seguito a un incidente, ha problemi temporanei di mobilità.

“L’accessibilità riguarda tutti, è un attributo che include senza tagliare fuori nessuno e garantisce il benessere ambientale. Un obiettivo – spiega Fantini – che dovrebbe essere al primo posto in ogni atto di progettazione. Troppo spesso nelle facoltà universitarie si insegna l’estetica e si dimentica un principio basilare, semplice: ogni architettura deve essere a misura di persona”. Certo, esistono master, specializzazioni, ma sono appunto percorsi post laurea: e nel mentre si formano professionisti non formati a mettere al primo posto chi abita e vive le città.

Da quasi 40 anni Leris Fantini lavora a servizio degli enti locali italiani per realizzare piani dell’accessibilità, strumenti duttili, che necessitano di manutenzione nel tempo perché il territorio muta ogni giorno. “Quando avremo finito del Pau di Lucca ci sarà già necessità di rivederlo. Il monitoraggio sulle priorità d’intervento dovrà essere costante”. Il lavoro per il piano procederà con numerosi sopralluoghi in tutto il centro storico. Ogni via e ogni piazza sarà scandagliata con scrupolo e tutte le criticità verranno mappate e schedate. A questa importante indagine conoscitiva si affianca la parte propositiva. Già, perché il piano mette nero su bianco anche le soluzioni per superare la criticità individuata. “Abbiamo a disposizione un abaco con 650 possibilità di intervento, sebbene nella pratica poi siano 70-80 quelle che si ripetono con più frequenza. Spesso – dice il professionista – si tratta di semplici spostamenti di elementi di arredo da un percorso. Ma non sono e non possono essere standardizzati per ogni città”.

“Per esempio – spiega Leris Fantini – a Ferrara, città molto simile a Lucca, il rapporto tra abitanti e biciclette è di 1 a 2. Va da sé che i muri del centro storico, in molti punti, servono per appoggiare le bici e perdono la loro funzione di guida per le persone ipovedenti, che sono solite mantenersi sulla traiettoria testando lo spazio circostante col bastone. Così abbiamo inserito nel piano dell’accessibilità, come soluzione, lo spostamento della cartellonistica, dal lato strada al lato muro. In questo modo – prosegue Fantini – si libera il cordolo del marciapiede sulla sinistra e si rende punto di riferimento per l’orientamento dei ciechi. Per comprendere le abitudini e le necessità di una città bisogna ascoltarla. Ecco perché anche per il piano di Lucca vogliamo confrontarci con le associazioni che si occupano di disabilità e lanceremo anche un questionario, per tutte le persone sensibili a questo aspetto, per i caregiver o anche solo per chi non fa parte di alcuna associazione ma vive una condizione di svantaggio. Che poi, a ben vedere – osserva Fantini – è sempre l’ambiente a determinare questa condizione e molto può essere migliorato”.

È soprattutto culturale la rivoluzione che il piano dell’accessibilità vuole innescare. Con la consapevolezza che non potrà esaurirsi fino a che non diverrà sistema di pensiero condiviso: politica, uffici tecnici, professionisti, maestranze. “Fare tutto a norma di legge – aggiunge Fantini – non equivale a fare tutto bene. Spesso a mancare è la comprensione della filosofia della legge stessa, che dovrebbe generare una sorta di missione in chi la applica. Si assiste invece molto spesso al ripetersi di piccoli e grandi errori progettuali perché così si è sempre fatto, siamo nel limite di tolleranza di legge e mettere in discussione il proprio lavoro è faticoso. Il risultato, però, è spesso insufficiente e anche i nuovi interventi finiscono col non rispondere pienamente al requisito dell’accessibilità”.

Si tratta di investire anche in sicurezza: “Se c’è cura e qualità nell’operare – spiega Fantini – i benefici saranno per tutti. A volte basta inserire un corrimano, spendere 200 euro, per prevenire inciampi che potrebbero costare molto di più alla collettività se qualcuno, facendosi male, facesse causa al Comune”. Il piano permette di programmare sistematicamente e di superare la logica della toppa, del rimedio ex post, così come favorisce l’aggiornamento dei dati – non soltanto in relazione alle criticità presenti.

Osserva Fantini: “Non tutte le strade sono uguali. Bisogna sapere da dove iniziare, andare per priorità, che sono determinate dal numero e dal tipo di servizi presenti sul percorso. Chiaramente una strada dove insiste una scuola a indirizzo umanistico, tendenzialmente più frequentata da studenti con disabilità, avrà un peso maggiore rispetto alla strada di una scuola tecnica. Occorrono occhi sempre aperti sui cambiamenti per poter aggiornare e presentare, di bilancio in bilancio, le reali urgenze per migliorare la fruizione universale dei percorsi pubblici. Tra l’altro l’esperienza insegna che il 60 per cento delle proposte del piano possono essere esaudite dalle manutenzioni ordinarie, senza impegnare nuovi capitoli di spesa, purché si assuma il punto di vista dell’accessibilità nell’intervento puntuale”.

Con questo piano, che certo dovrà dialogare e armonizzarsi con gli altri strumenti – urbanistici e della mobilità, Lucca potrà fare un salto in avanti, crescere in bellezza e accoglienza. Commenta l’assessore Serena Mammini: “È un atto di civiltà che questa amministrazione vuole lasciare in dote, uno strumento irrinunciabile perché la persona sia posta realmente al centro di ogni nostra scelta. Lavoreremo perché l’accessibilità a Lucca sia trasparente, ben inserita nel contesto urbano, seconda pelle del centro storico”.

di Elisa Tambellini da Lucca in Diretta del 30/07/2020

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